Dopo l’ultimo cadavere è finito il conto alla rovescia macabro sulla tragedia Rigopiano. Anche questa volta, come è successo già altre volte, i media sono tutti focalizzati sulla tragedia in questione, riprendendo tutto: no privacy, no senso del pudore, no rispetto per il dolore.
L’importante è riportare tutto. A quale scopo? Certo parliamo del diritto di cronaca. Ed è giusto informare il cittadino di ciò che accade; ma da qui a fare una maratona del dolore non solo sembra esagerato, ma perfino masochista. Intervistare un fratello sotto shock, per la perdita della sorella, o un padre che ha visto la valanga scendere e ricoprire l’hotel dove si trova la sua famiglia, quale informazione fornisce in più?
Le cronache sono piene di indagine per capire cosa sia successo. Troppa cronaca nera ci fa vivere nell’angoscia, nella paura che tutto possa succedere e che qualunque cosa possa ucciderci.
Qualche settimana fa Fiorello, lo showman più amato di tutti, durante una sua puntata di edicola Fiore, accusa le tv generaliste di trattare in maniera spropositata i casi di cronaca nera.
Ed è proprio lo stesso Fiorello che afferma quanto sia importante il diritto di cronaca: è giusto informare il cittadino di ciò che accade, ma da qui a illustrare ogni minimo dettaglio risulta esagerato; le indagini devono essere svolte nelle sedi appropriate, non nei programmi mattutini o pomeridiani, visibili anche ai bambini.
Fiorello non ha tutti i torti: parlare per ore di un caso, analizzandone ogni minimo particolare, dal coltello insanguinato a la scena del crimine; nulla è risparmiato all’indagine televisiva che passa tutto sotto i riflettori. Persino i protagonisti degli omicidi diventano personaggi famosi da intervistare. Non ci si limita più a riportare i fatti e le ipotesi stabilite da chi di dovere, ma si seguono nuove strade, i personaggi sono interrogati dei conduttori, oltre che dal Pm: la tv diventa una realtà parallela ad un libro giallo, dove il pubblico, insieme al programma quotidiano preferito, diventano degli Sherlock Holmes.
Cogne, Erba, Avetrana, insieme ai loro protagonisti, come Raffaele, Amanda, Sarah o zio Michele, diventano parte di un serial ossessivo.
Una sorta di intrattenimento macabro, con un uso di linguaggio evocativo, sempre meno obiettivo; una ricerca spasmodica di retroscena, meglio se piccanti; uno sfrenato uso di immagini e video del crimine.
Anche l’inviato Gonzalo Ramirez, durante una ripresa su un incendio in Cile, incita il cameraman a non riprendere le persone che piangono. Questo gesto, apprezzato dal web e dagli utenti, riporta l’informazione al suo posto: lo scopo è raccontare, approfondire. E un gesto che dovrebbe essere naturale, risulta straordinario.
La cronaca, così riportata, sembra quasi la punizione che avveniva in piazza un tempo: chi sbaglia paga ed è punito davanti a tutti. Il giornalista diventa un ammonitore della vita: chi ascolta deve sapere di chi non innamorarsi, a chi non avvicinarsi, stare attenti a tir sospetti, essere reticenti ad un uomo con una barba lunga e scuro di carnagione. “State attenti agli ex!” “Non fidatevi dei vostri figli” “Non andate in vacanza, potreste rischiare la vita!”
Ciò detto, potrebbe sembrare un limite all’informazione, in realtà è riequilibrare l’informazione: è giusto darne, ma senza esagerare. Questo non deve far confondere: i crimini devono essere conosciuti così come i criminali, ma non fa molto bene alla società essere bombardati quotidianamente da questo tipo di informazioni.
Giornali e Tg sono in grado di coprire la necessità di informazione e forse, i programmi quotidiani, quelli della mattina e del pomeriggio, dovrebbero tornare a fare quello per cui sono nati: intrattenere.