L'alfabetizzazione digitale: "Non è mai troppo tardi"

L’alfabetizzazione digitale, “Non è mai troppo tardi”

Anni 60: la Rai manda in onda un programma di alfabetizzazione per gli adulti che hanno superato l’età scolare, ma non sono ancora in grado di leggere e scrivere. Il pedagogo e maestro, Alberto Manzi, utilizza tecniche di insegnamento considerate all’avanguardia all’epoca, noi le potremmo definire “multimediali”, con filmati, supporti audio, dimostrazioni pratiche.

“Non è mai troppo tardi”, un importante ruolo sociale

Il programma, “Non è mai troppo tardi”, ebbe un importante ruolo sociale ed educativo, contribuendo all’unificazione culturale della nazione tramite l’insegnamento della lingua italiana, abbassando notevolmente il tasso di analfabetismo, particolarmente elevato nell’Italia di quegli anni; pare che, grazie a queste lezioni a distanza, quasi un milione e mezzo di persone sia riuscito a conseguire la licenza elementare, per quanto Aldo Grasso ridimensionerebbe il numero a 35 000.

In Italia una nuova forma di analfabetismo: digitale

In Italia si prospetta un’altra forma di analfabetismo, quello digitale. Sono ormai quasi trent’anni che si parla di questo gap che all’inizio era solo cognitivo ma, con l’avvento dei social, è diventato anche sociale. Gli studi hanno portato a parlare di tre diverse dimensioni dell’alfabetizzazione digitale:

  • L’aspetto tecnologico: comprende quelle abilità di base che fanno riferimento alla valutazione, conservazione, produzione, presentazione e scambio di informazioni e si avvalgono efficacemente di un atteggiamento flessibile, creativo ed esplorativo nell’utilizzo dei contesti tecnologici più opportuni alle specifiche situazioni.
  • L’aspetto cognitivo: L’aspetto cognitivo interviene nello sviluppo, nella gestione e nella pianificazione del percorso attraverso un’attenta analisi dei dati a disposizione da interpretare criticamente e selettivamente.
  • L’aspetto etico: il digitale non può prescindere dalla responsabilità sociale, etica e legale implicita nell’uso corretto delle informazioni gestite nel web.

E’ stato aggiunto anche un altro aspetto, con l’avvento dei social e della condivisione delle informazioni:

  • L’aspetto partecipativo-relazionale: la capacità di condividere informazioni, conoscenza e intenzionalità in Rete, di interagire positivamente con gli altri condividendo oltre che conoscenze formali anche emozioni. La competenza partecipativa permette di collaborare attivamente e consapevolmente in una comunità di pratica on line, intorno ad un progetto concreto e a specifici artefatti digitali.

L’analfabetismo digitale e le bufale…

Tutto questo per arrivare dove? Al problema delle bufale e della post verità.

Il gap spiegato poco prima permette a piattaforme di informazione, più o meno accreditate, di diffondere notizie false,”superando” (post) la verità, che diventa irrilevante di fronte all’aspetto emotivo della notizia. La parola post-verità è esplosa con la Brexit e la vittoria di Trump alle elezioni americane, anche se già dagli anni ’90 era utilizzata.

Le società di oggi sono plasmate su false notizie che hanno tanta influenza da fare il giro del web e spostare indici di gradimento e sistemi di elezioni.

Si perde interesse per la verità, e la notizia è pubblicata solo se sensazionale. Come fare quindi? Rinchiudersi in casa e lasciare che l’era della post-verità finisca? Riproporre un “Non è mai troppo tardi 2.0”?

Prima di tutto istruiamoci al pensiero critico, a capire cosa potrebbe essere vero e cosa non lo è. Secondo, ma non meno importante, affidiamoci alla democraticità della rete: sfruttiamo la sua interattività, la sua immediatezza, il suo essere accessibile a tutti, o quasi. Informiamoci, commentiamo chiedendo spiegazioni a chi ha scritto la notizia, impariamo a leggere le notizie e capire la fonte.

 

 

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