Ripubblichiamo il punto di vista dei uno dei nostri lettori, una donna forte e fragile che conosce il significato delle parole e sa come usarle. Una recensione di Michela Ciavatta del libro “Infomakers. Editori, giornalisti e blogger al tempo della post-verità”
“La mutazione avvenuta nelle tecnologie della informazione e della comunicazione e la conseguente mutazione sociale in atto, ci pongono nuove responsabilità come creatori/fruitori di contenuti e, in definitiva, come cittadini.
Fuori da ipocrite nostalgie e snobismi anacronistici, risulta evidente che le possibilità aperte dai nuovi media sono immense, ma altrettanto evidente è l’urgenza di governarli, di imparare ad usarli affinché non diventino sempre più strumenti per farci usare e sfruttare dal nuovo capitalismo monopolistico.
La facilità di accesso come tutte le altre meraviglie del web sono armi a doppio taglio. La trasformazione del semplice fruitore in fruitore-creatore di contenuti ci pone di fronte ad una sfida politica e culturale di portata epocale dal cui esito dipenderà l’affermazione di un mondo etero-diretto in cui saremo sempre più topi in gabbia o di uno spazio globale (o glocale) in cui lo sviluppo tecnologico potrà equivalere ad un autentico progresso dell’umanità se governato dal perseguimento di un sistema equo di diritti e doveri.
Una modalità potenzialmente salvifica potrebbe essere quella evocata dalla dimensione metaforica della piazza: uno spazio pubblico con delle regole a tutela di tutti i suoi fruitori e al di sopra dell’interesse che il privato ha nello stesso spazio pubblico. Viene detto: “Non può esistere libertà senza conoscenza”. Mi sento di aggiungere: e senza regole. A formulare queste regole immaginiamo un governo globale o glocale a tutela anche delle persone e non soltanto delle grandi aziende, e quindi dalle persone ricercato. L’anarchia col suo fascino libertario, al contrario, è il terreno più fertile per il proliferare dell’avversione a fondamentali sistemi di regole.
Il progetto de “l’infomaker” può essere un percorso virtuoso in quanto lo spazio glocal rappresenta il compromesso capace da un lato di superare il limite dell’accessibilità ridotta in un sistema esclusivamente locale o chiuso e dall’altro di colmare la carenza della “materia prima” rappresentata dai contenuti che per loro natura sono strettamente legati al fare e al fare in una realtà circoscritta sia essa territoriale o, come viene detto, ispirazionale.
La realtà è la benzina che muove ogni contenuto dotato di senso purché sia raccontata con un approccio snello, scevro dal peso di giudizi invasivi e in netto contrasto con l’attuale indistinta invasione della spettacolarizzazione di ogni evento, perfino del dolore e della morte, che ci ha anestetizzati e assuefatti fino a farci perdere empatia e compassione, se non nelle multiformi espressioni ipocrite della solidarietà a proclami.
L’ambizione ad un impegno civile e culturale ci pone di fronte la questione della qualità del racconto e dell’onestà del narratore, nonché la capacità di coinvolgere gli attori fondamentali di qualunque rivoluzione e cambio di paradigma: i giovani, gli studenti.
Le diffuse tendenze all’autolesionismo o al bullismo, oltretutto ci segnalano giganteschi vuoti e voragini nelle esistenze dei ragazzi che pur avendo a disposizione potenti mezzi di comunicazione e di esibizione soffrono paradossalmente la mancanza di interlocutori autorevoli (con i quali confrontarsi, da prendere a modello o da contrastare) nonché la difficoltà di ricercare e riconoscere contenuti dotati di senso autentico, condivisibile ed utile alla costruzione di una sana identità.
Il glocal non garantisce comunque di per sé qualità e non è di per sé immune dalle insidie dell’epoca della postverità che tutto vuole confondere e controllare. L’assenza della competenza del narratore non si può camuffare con gli effetti speciali dei linguaggi oggi a disposizione né col pur necessario rivolgersi a territori ricchi di contenuti e non è innocua come non è innocua, ma anzi “è ancor più pericolosa (in quanto più versatile) la stronzata rispetto alla bugia nel tempo della post-verità” come ben sostiene Laurie Penny.
La sfida, in definitiva, sta nel difendere il diritto alla qualità dell’informazione e della comunicazione al pari di altri beni comuni.”
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